The Japanese House è il nome in codice dietro cui si nasconde Amber Bain, ventitreenne inglese che si divide tra il Buckinghamshire e Londra. Talento precoce (ha iniziato a suonare ad appena undici anni) grazie a una manciata di singoli ed EP si è guadagnata uno spazio piccolo ma importante nell’affollato mondo musicale britannico e la stima di diversi colleghi.

Le tredici canzoni di “Good At Falling” sono state prodotte dalla stessa Amber, da BJ Burton (Low, Bon Iver) da George Daniel (batterista dei The 1975) e vengono pubblicate da un’etichetta (la Dirty Hit) che è diventata una piccola fucina di talenti grazie a un roster eclettico che oltre ai The 1975 comprende anche i Wolf Alice, Art School Girlfriend e molti altri.

La musica di Amber Bain ha poco a che fare col pop di Matty Healy e soci e con l’indie rock scatenato della band capitanata da Ellie Rowsell. Quello creato da The Japanese House è un synth pop di grande atmosfera, che gioca con melodie e tonalità  sovrapposte usando l’Auto – Tune con intelligenza.

Ascoltando il sound morbido di “went to meet her (intro)” e il romanticismo di “Maybe You’re The Reason” vengono subito in mente gli arrangiamenti dei Beach House ma Amber Bain sta bene attenta a non somigliare troppo a nessuno, cambiando stile in una “You Seemed So Happy” che riscopre la naturalezza di chitarre e batteria e seminando pillole glitch pop in “Wild” e “Worms”.

Onesta e sincera, The Japanese House dimostra di saper andare oltre singoli come “Lilo” e “I saw you in a dream”.
“Good At Falling” è un disco incantevole, che mette in mostra la personalità  di una giovane donna gay che non ha paura di guardarsi allo specchio.